Le storie di Oscar #02: La vacanza a Vinci
31 luglio 1944: Su indicazioni di Hitler a Firenze tutti i ponti vengono minati, tranne il Ponte Vecchio che pero’ rimarrà isolato dalla distruzione delle strade di accesso.
13 Agosto 1944: I genieri aIleati costruiscono ponti Bailey sulle macerie dei ponti distrutti.
8 Settembre 1944: Sul giornale 'La Nazione', i fiorentini
leggono della cacciata definitiva dei tedeschi da Monte Morello, da
Montesenario, da Monte Giovi e dalla Calvana.
Piero Calamandrei riapre l'università; il tribunale riapre i battenti.
__________________________________________________________________________
Luglio 1945
Un anno dopo...
“Ho deciso, disse Lea, usciamo da questa casa che per fortuna è ancora
in piedi. Sì, ho deciso: andiamo per un mese in campagna vicino a Vinci,
almeno così ci riposeremo dopo tutti questi spaventi e tanta fame…”
Via di Mezzo era una traversa di Borgo Pinti poco prima deIl’arco di San Piero.
Qui
sostava un autobus degli americani che, chissà come, qualche
‘pescecane’ deIla borsa nera era riuscito ad aggiudicarsi iniziando un
servizio di trasporto pubblico.
Ma non era quello il mezzo con il quale sarebbero andati in campagna,
lasciando il centro città dilaniato dai bombardamenti, dalle mine fatte
brillare dai tedeschi in ritirata, dai maledetti cecchini che per mesi
avevano fatto il tirassegno sulla popolazione inerme.
Ad aspettare Lea, Emma, il Lalli e pochi altri c’era, dietro quel
pullman americano, un vecchio camioncino con un pianale sul quale erano
state montate delle panche di legno, dopo che era stata tolta la fornace
a carbonella, il gasometro, con la quale doveva avere viaggiato per
almeno un tre anni.
Sulla panca dall'altro lato del pianale del furgone si erano seduti in quattro, marito e moglie con due ragazzini.
Magri assatanati, sguardo perduto nel nulla, neanche un sorriso o una
parola. Il marito doveva essere un ex militare disertore, sotto un
pastrano trucido (con quel caldo) si intravedeva una camicia
giorgioverde militare d'ordinanza.
Lea cerco' di attaccare discorso dopo averli salutati, ma quelli sembravano statue di sale e non risposero.
Per fare quei pochi chilometri per uscire dalla disastrata Firenze ci
vollero più di tre ore. Alla guida del catorcio c’era uno di mezza età
che sfoggiava camicia e pantaloni rosso vermiglio, tanto per far capire
che lui non era stato coinvolto con i fascisti e tantomeno con i
nazisti.
Va a sapere se poi fosse vero o se piuttosto non si trattava del solito
ruffiano pronto a cambiare casacca al primo stormire di fronda.
Finalmente dopo tanti scossoni e frenate per evitare buche e macerie il
furgoncino con il suo carico di spaesata umanità raggiunse un bivio.
Lea, la sua mamma e Lalli, il nipote di 10 anni, (figlio del fratello
fatto prigioniero in Africa orientale) furono fatti scendere
dall’autista rosso vestito che aveva tirato fuori una scaletta.
Quando fu il turno di Lea, il porcone vermiglio ne approfitto’ per palpeggiare quella bionda che era un bene di Dio.
"Lei e' proprio un gran maiale..! si vergogni di approfittare di una
donna sola.." Lea gli urlo' sul viso appena ebbe messo i piedi a terra.
"La colpa non e' mia ma sua, cara la superverginella. Perche' con quel
culo sodo lei provoca, ha capito?" sbraito' il conducente quasi
sputandole in faccia il pezzo di toscano che rigirava da una lato
all'altro della bocca sdentata e puzzolente.
Aprì la porta del camioncino che poi sbatté con grande fracasso. Pigio'
il bottone della accensione ma il motore elettrico fece un lamento e si
bloccò.
Spazzolando tutti i moccoli e bestemmie del suo repertorio il porcone
vestito di rosso uscì di nuovo dalla cabina del furgone, aprì una
cassettiera sotto il pianale, ne tiro' fuori una manovella per la messa
in moto mano.
"Ehi tu ", imprecò rivolto al quasi militare seduto con la famiglia
sulla panca. "Vieni a darmi una mano altrimenti vi faccio scendere e
andate a fan culo… Tanto i soldi li ho già presi e non ve li rendo…"
Lea, la sora Emma e il nipote si erano messi addosso borsoni e pacchi
che contenevano un po' di cose da mangiare almeno per coprire i primi
giorni di quella che già si presentava ormai come una esperienza non
proprio positiva.
Lea si era caricata sulla spalla sinistra una valigia di fibra legata più volte con lo spago e cominciò la camminata.
La casa colonica dove avrebbero passato almeno un mese era distante piu'
di un chilometro da quel bivio dove il camioncino il aveva lasciati.
Faceva caldo a quell’ora, si era ormai vicino al mezzogiorno, pero’
l’aria che si respirava era completamente diversa da quella di Borgo
Pinti, piena della polvere delle case colpite dai bombardamenti alleati,
dal rifiorire delle fogne dissestate in molti casi diventate a cielo
aperto, da quel permanente odore di morte che gravava su ogni cosa.
Camminarono per più di mezz'ora, riposandosi ogni tanto quando trovavano qualche albero che faceva ombra.
Lasciarono la strada provinciale che era asfaltata e presero un viottolo che saliva su verso una mezza collina.
E videro la casa dove avrebbero trascorso un mese di vacanza, chiamiamola così.
Chiamare quel rudere “casa colonica”, sembro’ essere eccessivo per quei
tre cittadini che, nonostante le sofferenze patite negli ultimi due anni
a Firenze, erano comunque abituati a vivere in maniera civile. E
pensare che quella era la patria di Leonardo da Vinci, appunto.
Faceva caldo, molto caldo. Ed era tutto un frinire di cicale assatanate
sotto i raggi di un sole prepotente che si insinuava tra i filari ancora
in piedi, gli scarni ulivi ed il resto della campagna desertificata per
la mancanza di acqua, per l’assenza di manodopera perché gli uomini
ancora validi erano stati catturati dai tedeschi che li avevano
imbarcati su camion destinati -come si venne a sapere più tardi- ai
campi di sterminio.
Oppure, proprio per sfuggire ai maledetti nazi e peggio ancora ai
repubblichini, c’erano queIli che si erano rintanati in montagna con i
partigiani, gente spesso di cultura, con i quali non era stato facile
l’inserimento neIle brigate. E agli ex contadini-braccianti erano
affidati compiti di manovalanza, perché gli servivano le loro braccia e
non certo le loro teste di analfabeti.
“Madonnina mia”, disse la sora Emma varcando la soglia di quella stamberga.
Ed era il minimo che si potesse dire perché la stanza d’ingresso aveva
un pavimento di ardesia nera punteggiato dalle merde di una decina di
nane mute che facevano la posta sperando di spuntare qualche boccone
sfuggito agli umani.
“Questa e' la vostra stanza”, disse una vecchia megera che puzzava di piscio stracotto lontano un miglio.
Non un sorriso e nemmeno un: "bene arrivati…".
Quella vecchia risecchita con una faccia scolpita nel legno e due occhi
cisposi scrutava i foresti arrivati da Firenze dilaniata dalle bombe,
dai duelli di artiglieria tra le due sponde dell'Arno, dai morti sparati
dai cecchini e da quelli fatti fuori la sera verso le sette da Pippo,
l'aereo cicogna attribuito ai tedeschi ma che invece era inglese, ed era
temuto più dei bombardamenti delle fortezze volanti americane.
“Per lavarvi dovete andare aIl’acquaio e vi servite del secchio che
pero’ dovete andare a riempire al pozzo, lì fuori neIl ’orto.”
In quell'acquaio scavato in una lastra di pietra si lavavano tutti i
membri della famiglia che in quel momento erano fuori nei campi a
cercare di rimettere a posto qualche sparsa coltura.
"La ritirata e' fuori, nel cortile. Dovete portarvi la carta… Qui ci
sono alcuni pezzi di giornale che sono avanzati… Poi sono affari
vostri…Quando il secchio del bottino e' pieno bisogna andare a versarlo
nell'orto. "
La vecchia col volto scolpito di legno uscì ciabattando in cortile a rimestare qualcosa nel pollaio.
I tre cittadini appena arrivati da Firenze non è che fossero entusiasti
di quella sistemazione. NeIla loro stanza c’era soltanto un grande
saccone ripieno di paglia che scricchiolava quando ti ci sdraiavi sopra.
“Speriamo che non ci siano le cimici o altri insetti”, sospiro’ la sora Emma.
“Ma almeno riusciremo a mangiare qualcosa”, disse Lea un poco risentita
anche perché si aspettava un’abitazione ben diversa da quel porcaio con
le papere deambulanti e caganti.
E comincio’ quel mese di vacanza in un mondo assolutamente diverso da quello in cui avevano vissuto fino ad aIlora.
_________________________________________________________
“Lalli , vai a prendermi quella boccia di limonata che ho lasciato
vicino aIl’acquaio.”, così Lea che insieme alla nonna Emma stava
sdraiata su una coperta all’ombra del fico grande nell’orto vicino a
casa.
Faceva un gran caldo a metà giornata e il ragazzo sperava di prendere
qualche sorso da quella bottiglia di limonata prima di portarla fuori
alla zia e alla nonna.
Arrivato alla soglia della cosiddetta “casa colonica” si fermo’ perché
sentiva una voce di donna cantare “Fiorin, Fiorello, l’amore è bello
vicino a te...”.
E sbircio’ all’interno della stanza principale.
Chi cantava era la Germana, una delle figlie del padrone di casa, avanti
negli anni a detta delle vecchie che spettegolavano a veglia, la sera
prima di andare a dormire.
La Germana rischiava di diventare una zitella secondo loro.
Si era lasciata con un paio di fidanzati durante la guerra, poi aveva
conosciuto un militare tedesco durante l’occupazione, bello, biondo,
atletico che riforniva la famiglia di pane scuro, cioccolata, wurstell
in scatola. (ma di questo era meglio non parlare).
E ora, dicevano le male lingue, era una delle animatrici del bar Mokambo
a Vinci che secondo molti altro non era se non un bordeIlo privato.
“Fiorin, Fiorello, l’amore e' beIlo vicino a te…” cantava la Germana,
mezza nuda mentre si sciacquava le ascelle con l’acqua del secchio
sporgendosi sopra l'acquaio scavato neIl’arenaria.
Lalli si era bloccato sulla porta e guardava quella meraviglia di carne
rosata. Mentre si lavava con una pezzola la Germana scuoteva quelle
poppe grandi e solide e lui sentiva un turbamento che saliva dal basso e
lo teneva inchiodato su quella soglia da cui non osava muoversi.
"Fior di margherita, Cos'è mai la vita, Se non c'è l'amore che il nostro cuore fa palpitar.."
La Germana oltre ad essere una bella figliola era anche intonata e
quella sua interpretazione di Fiorin Fiorello dipingeva un quadro fatto
di bellezza, energia, voglia di amare, inno alla vita in un mondo di
morte e distruzione.
C'era una catinella appoggiata su una panca vicino all'acquaio.
Germana la riempì con una brocca che si era portata lì vicino.
Sollevata la corta sottoveste un tempo rosa, adesso di un colore
indefinito, si era messa a cavallo della catinella iniziando a lavarsi
le sue parti intime. Ma era uno strano modo di lavarsi, piu' che altro
una serie di delicate carezze da sotto in su.
"Fiorin Fiorello l’amore e' beIlo vicino a te…"
Germana si senti' osservata e si volto' verso la porta.
“Ma guarda questo bischerello di cittadino che mi sta a rimirare… Tu non l’hai mai vista una donna nuda, eh! pischello ?…”
E indossata una camiciola che aveva appoggiata sullo schienale di una
sedia uscì di casa e passando per la porta fece una rapida lisciata di
mano sulla patta dei pantaloncini del ragazzo che rimase inchiodato su
quella soglia per qualche minuto, col fiato corto e completamente
turbato.
"Lalli, ma ci porti questa limonata?" insisteva la zia Lea.
_____________________________________________________________
Casaloste era il nome della frazione dove c'era la casa colonica che distava da Vinci un paio di chilometri.
Il Lalli era stato accettato dal gruppetto di ragazzini che si riunivano
in uno spiazzo a qualche centinaio di metri da quel rudere.
In verità lo consideravano come un alieno, una entità strana, molto
diverso da loro a cominciare da quegli occhiali che era costretto a
portare sempre. E quanti ne aveva dovuti cambiare quando faceva a botte
con quelli che lo sfottevano a scuola e lo chiamavano 'quattrocchi'..
E poi si capiva che lui doveva imparare come seguire le regole naturali
del gruppo a cominciare dal rispetto dovuto a Moreno che con i suoi 12
anni era di gran lunga superiore a lui e agli altri, ma soprattutto si
capiva che era un capo branco nato.
Quando il Lalli era stato costretto a dire che frequentava le elementari
dalle monache domenicane a Firenze, Moreno (subito seguito da tutti gli
altri accoliti) si era esibito in sghignazzate punteggiate da bestemmie
colorite mentre si accendeva una cicca trovata chissà dove, forse in un
pacchetto di sigarette lasciate dai tedeschi.
Aggiungi poi che Moreno era almeno una spanna più alto del Lalli e
quindi era facile per lui imporsi con la sua statura su quel cittadino
che non parlava il vernacolo pesante con il quale comunicavano tutti gli
altri membri del gruppo ma si esibiva qualche volta, quando doveva
rispondere a delle domande precise di Moreno, in un italiano senza
inflessioni dialettali. Perché così la zia e la nonna gli avevano
imposto come regola di principio dato che il fiorentinismo non gli stava
bene a mano. Ma Lalli in quella combriccola cercava di imitare il loro
vernacolo per farsi accettare.
Moreno comandava su un gruppo di cinque ragazzini più la Milena.
Quanti anni poteva avere Milena? Sette, otto. Difficile a dirsi e forse
non lo sapeva nemmeno lei. Milena era la figlia non voluta della
Giuseppina Greganti che una mattina era stata trovata scannata in un
campo dietro la sua casa ai bordi della frazione.
Si sapeva fino a Vinci che la Giuseppina era una ninfomane, sempre in
cerca di un maschio che la coprisse, odiata da tutte le altre donne
perché la Giuseppina ai loro uomini faceva un trattamento che loro
nemmeno si sognavano di fare. E del resto non è che lei chiedesse
qualcosa in cambio delle sue prestazioni sessuali . Non era una
professionista ma solo una giovane donna, nata così, con quella voglia
impetuosa e insopprimibile di maschio che la faceva uscire tutte le
notti a caccia di qualcuno, mentre durante il giorno stava rintanata a
letto, infischiandosene della figlia Milena che tanto a quella ci
pensava la nonna disperata per trovare qualcosa da mangiare ogni giorno.
Quanti anni poteva avere Milena? Comunque era un esserino magro da far
paura, ma il visino era bello, aggraziato da un paio di occhi celesti
con quel cespuglio di capelli biondi che le ricadevano in parte sulle
spalle.
Ma erano proprio quegli occhi celesti che ti mettevano a disagio quando Milena incrociava il suo sguardo con il tuo.
Era come gettarsi in un lago ghiacciato, Milena non aveva espressioni, sembrava un automa.
Perché Milena facesse parte del gruppetto di Moreno il Lalli non
riusciva a capirlo. Ma dopo tutto non era che questa fosse una domanda
essenziale: Milena c’era e partecipava alla vita di gruppo come gli
altri.
Solo che non parlava mai, tanto da far credere che fosse sordomuta. Ed
invece Moreno aveva detto al Lalli che la Milena ci sentiva bene ma non
aveva voglia di parlare. Ogni tanto sembra che modulasse qualche motivo
di quelli che la radio aveva ricominciato a trasmettere. Ma erano
momenti rari.
Il secondo giorno che il Lalli era stato ammesso nel gruppo (e nessuno
poteva permettersi di protestare visto che il cittadino era nelle
grazie, si fa per dire, del capo Moreno)… proprio Moreno si era esibito
in una delle sue trovate.
“Questo è Pietro, accanto c’è Luigi, poi Paolo, questo è Benito (pero' è
meglio chiamarlo Ganzo perché con quel nome rischia di essere menato.).
E questa è la Milena che adesso ti fa vedere la passera… Dai Milena:
fagli vedere la passera al Lalli che sono sicuro non l’ha mai vista in
vita sua…”
E la Milena eseguiva, chissà quante volte lo aveva fatto, soIlevando la
vestina piena di macchie che la copriva e scoprendo la passerina nuda
perché non portava le mutande.
Lo faceva senza una parola, con la sua faccina triste e lo sguardo
assente perché Milena nel gruppo ci stava solo perché era una ritardata e
secondo Moreno faceva comodo perché la potevi comandare a fare i
lavori, come per esempio portare un secchio d’acqua presa dal pozzo,
aiutare a tagliare per tutti qualche pezzo di schiacciata rubata allo
spaccio mentre Moreno contrattava l’acquisto di un etto di mortadella.
_________________________________________________________________
“Oggi è una giornata speciale”, disse Moreno al gruppo. E gli altri si
guardavano in faccia perché non riuscivano a immaginare quanto di
speciale ci fosse in quella giornata con un sole che picchiava duro e i
milioni di cicale che frinivano a più non posso e bisognava stare
attenti perché ti mandavano fuori di testa.
“Ma che ci sarà di tanto speciale?”, si azzardo’ a chiedere Ganzo
rischiando molto perché Moreno non ammetteva che fossero messe in
discussione le sue decisioni con domande sceme.
“Mettetevi le scarpe perché dobbiamo passare in una zona piena di vetri e
metalli.”, disse Moreno senza curarsi di rispondere a Ganzo.
“Io le scarpe qui non ce l’ho. Me le metto solo la domenica per andare
in chiesa altrimenti il prete mi manda via e non mi fa servire Messa.”
Ganzo era in vena di proteste quella mattina. Ganzo in chiesa ci voleva
andare perchè riusciva ogni tanto a scolarsi un il vino della Messa. E
poi il prete gli allungava un po' di pane e salame in cambio di...ma di
questo si rabbuiava e non voleva parlare.
Moreno scrollo’ le spalle e si alzo’ prendendo un viottolo laterale che
portava alla boscaglia distante più di un chilometro. Era lì che c’erano
stati gli scontri tra i nazisti e i partigiani alcuni dei quali erano
stati presi dai tedeschi e poi fucilati sul posto dopo averli torturati
per avere informazioni sulle altre brigate che combattevano nella zona.
“State attenti a dove mettete i piedi. Tu Milena vai avanti…”
E gli altri del gruppo avevano pronta la battuta “Così se trovi una mina
salti prima tu…”. Ma non la dissero perché Moreno non era uno che
apprezzava quelli che facevano gli spiritosi.
Su quel sentiero comunque dovevano esserci passati in molti, magari trascinando qualche obice o mitraglia pesante.
Camminavano guardinghi e nessuno parlava. Moreno era passato in testa e
aveva accelerato il passo, tanto che gli altri stentavano a stargli
dietro e la Milena ormai era in fondo al gruppo e distaccata di una
decina di metri.
Arrivarono finalmente in un boschetto che, a giudicare dai pezzi di
carta di giornale sparsi ovunque, era stato considerato una latrina a
cielo aperto da tedeschi e partigiani.
Moreno era arrivato a un bivio del viottolo. Prese a destra e rallento’
la marcia perché quel sentiero era ormai una salita di tutto rispetto.
“Moreno sono stanco, ci si potrebbe fermare…?”, dissero un po’ tutti.
“Avanti, forza, siamo quasi arrivati.”
Davanti a loro si presentava un bunker costruito dai tedeschi per controllare parte della vallata fino a Vinci.
Moreno dimostrava di conoscere bene quel posto per esserci stato chissà
quante volte dopo che i nazisti si erano ritirati al di là della linea
gotica.
“Adesso restate qui che vado dentro a prendere una cosa, tanto lo so che
siete dei cagasotto e avete paura di entrare...”, disse Moreno.
L’invito fu accolto con grandi sospiri di sollievo perché quei ragazzi
non ne potevano più di camminare e quanto a Ganzo che non aveva le
scarpe, nonostante il callo ai piedi si era procurato diversi tagli
superficiali quanto si vuole ma comunque il sangue si era raggrumato.
Pero' quell'accusa di essere dei cagasotto non gli andava bene e,
nonostante la stanchezza e il mal di piedi, si avvicinarono ed entrarono
con Moreno dentro il bunker.
" Porca troia e questo che e' ?" esclamo' Ganzo infiorettando con un moccolo tanto poi si confessava dal prete.
"E' un nazi, morto stecchito piu' di un anno fa, sopra le ossa gli e'
rimasta un po' di uniforme con le patacche delle SS. Ma a me non
interessano perche' non lo voglio toccare. Questi rotti in culo di
tedeschi anche da morti son capaci di infettare e ammazzare gli
altri..."
Parlando Moreno indicava ai compagni quell'ammasso di pezzi di stoffa
sopra quel che restava delle ossa perche' chiaramente gli animali della
zona si erano riempito lo stomaco per qualche settimana.
“Ecco guardate: questo è un proiettile di obice ancora carico. Non c’è
da aver paura perché mi hanno insegnato come si fa a togliere la
spoletta per evitare che si inneschi e scoppi.”
Moreno si era accoccolato su un gradino della scala del bunker e teneva
sulle ginocchia il proiettile al quale mancava la spoletta. Comincio’ a
inclinarlo a fatica perche' era pesante, ne fece uscire la polvere nera
con la quale si mise a disegnare un percorso di qualche metro.
Poi, appoggiata la munizione contro un muro, estrasse dalla tasca dei
pantaloni una scatola di svedesi e dette fuoco a un fiammifero che
accosto’ al terminale della polvere da sparo.
La fiammata che ne seguì si propago’ velocemente per tutta la linea che
Moreno aveva disegnato per poi esaurirsi contro un grumo di erba.
“Che ne dite? Bello vero? Sembra lo scoppio del carro nel Duomo a
Firenze. Mi ci hanno portato a Pasqua. C’è qualcuno che vuole un po’ di
polvere?”
E il Lalli si ritrovo’ a mettere in tasca dei calzoncini sdruciti un po’
di quella polvere nera avvoltolata in un pezzo di carta che sembrava
non usato trovato lì vicino.
______________________________________________________________
Era il 10 settembre e la scuola aveva ricominciato a funzionare dopo la
chiusura precaria durante ”l’emergenza”, periodo in cui Firenze era un
campo di battaglia con da un lato del fiume Arno gli Alleati che non si
decidevano ad attraversare il fiume sui nuovi ponti Bailey che i genieri
inglesi stavano montando visto che i ponti erano stati fatti saltare
dai nazisti in ritirata, meno il Ponte Vecchio ma tanto le strade
adiacenti erano state distrutte.
E daIl’altro lato c’era la Firenze occupata ancora dei tedeschi e dai
repubblichini che rastrellavano gli uomini e i giovani che si
avventuravano nelle strade. Mentre cadevano le bombe delle incursioni
aeree sui nodi ferroviari anche se spesso le bombe cambiavano tragitto.
La notte era disegnata dai traccianti sparati da una sponda e l’altra
dell’Arno.
Dunque la scuola delle suore domenicane in via Manzoni aveva ricominciato a funzionare.
Il Lalli per cinque anni era stato sull’albo d’onore, un quadro
all’ingresso principale dell’edificio sul quale venivano segnati i nomi
degli studenti migliori. Lui era il numero uno.
Doveva concludere il quinto anno e poi ci sarebbero state due sessioni
di esami, la prima interna aIla scuola e la seconda in un istituto
pubblico dove gli studenti privati dovevano essere esaminati con
maggiore attenzione rispetto a quelli delle scuole pubbliche, dato che
si presupponeva che venissero da famiglie che se lo potevano permettere.
Ed allora era meglio valutare se erano preparati o se cercavano di
entrare alle medie con ingressi facili.
Ma il Lalli non era più lo stesso di qualche mese prima. Quella mesata
trascorsa a Casaloste con quegli altri ragazzi lo aveva molto
modificato, lui cresciuto in mezzo a donne con la proibizione di
scendere in giardino a giocare con gli altri ragazzi perché, dicevano le
zie e la nonna, erano troppo maleducati. Figurarsi.
Quelli di Casaloste e Vinci erano un mondo a parte, ma sapevano come campare alla giornata.
C’era stata la guerra e tutto era cambiato, tutto era stato ribaltato,
c’era solo la voglia di sopravvivere, un sentimento animalesco quanto
vuoi ma quando sei circondato dalla morte, dalla fame, dalle malattie,
dal terrore, dalla mancanza di un futuro, allora vivi per l’essenziale…
Tutto era cambiato, tutto era stato ribaltato. Ma i ragazzi di Vinci e
Casaloste erano forti dentro anche se analfabeti.
I compagni della quinta A erano in gran parte quelli della quarta
dell’anno prima. Ma quando si incontrarono con il Lalli durante la
ricreazione rimasero ammirati dalle descrizioni che quello faceva delle
esperienze passate.
Ad un certo momento il Lalli tiro’ fuori il pacchetto con la polvere
nera che distribuì facendo una linea che andava lungo una parete del
corridoio principale della scuola. Si era armato di una scatola di
fiammiferi e a dimostrazione di quanto fosse importante l’esperienza
campestre che aveva fatto, dette fuoco alla polvere da sparo che si
incendio’ annerendo la parete del corridoio. I compagni ammutoliti erano
in ammirazione.
Dopo questo episodio che sconvolse le monache si riunì il consiglio
scolastico che avrebbe dovuto radiare il Lalli dalla scuola impedendogli
di sostenere gli esami.
Ma quel ragazzino occhialuto era anche il portabandiera da anni del
livello di insegnamento di quella scuola privata. Bisognava tenerlo
ancora per un anno sperando che riuscisse ad essere il numero uno ai
doppi esami a conclusione delle Elementari prima di passare alle medie
inferiori pubbliche.
Fu deciso che gli sarebbe stata comminata una dura punizione con esclusione da ogni ricreazione e voti negativi in condotta.
______________________________________________________________
“Te lo ricordi Moreno, quel ragazzotto che stava lì a Vinci in quel
gruppo che si vedevano tutti i giorni?”, disse Lea alla mamma un giorno
mentre rammendavano calzini e magliette.
“Sì me lo ricordo”, disse nonna Emma guardando la figlia che cuciva, “Che è successo?”
“Me l’ha detto Antonio quello della cosiddetta casa colonica dove siamo
stati. Aveva la passione delle bombe ed è saltato in aria mentre
armeggiava un bossolo… Poveraccio.”
_____________________________________________________________
Per chi preferisce vedere e ascoltare
Parte prima https://youtu.be/agkkM1PkzyM
Parte seconda https://youtu.be/5ygjxNV978U
Parte terza https://youtu.be/kO1P-XXL8LQ
______________________________________________
Che devo dirti? L’ho letta (giuro!) due volte: una per la storia… e una per inebriarmi dell’arte letteraria!
Spero stia preparando un libro di splendidi racconti..?? Mi prenoto!
Sei veramente estroso !!
Un abbraccione anticovidiano !
MLuisa
_________________________________________________
Grazie! Che descrizione dettagliata! L’ho dovuta rileggere due volte per accettare l’idea che eri tu quel ragazzetto!😱
Un abbraccio da Los Angeles, Emanuela
______________________________________________________
Ago Volta
Ago Volta
Comments
Post a Comment